IL TEMPO PER HENRI BERGSON di Fabio Costanza

IL TEMPO PER HENRI BERGSON di Fabio Costanza

Le nuove idee sul tempo, tra cui l’irreversibilità, attraversavano in quegli anni le discipline scientifiche; la termodinamica e l’evoluzione biologica avevano messo in discussione la reversibilità temporale, da non confondere con la reversibilità del movimento. Qualche decennio dopo, nel quadro della reazione antipositivista, anche la filosofia riprese la riflessione su questi temi. Henri Bergson (1859-1941) attaccherà questo concetto insistendo su una temporalità anti-misura.

Nel primo decennio del nostro secolo Einstein introdusse nella scienza il concetto di relatività mettendo in crisi l’accettazione acritica che il Positivismo aveva fatto della tradizionale nozione newtoniana di spazio-tempo assoluto. Il pensiero di Bergson, in particolare, si caratterizzò per l’attenzione dedicata al concetto di tempo, rispetto al quale egli distinse fra due approcci possibili.

Il tempo della scienza indica la nozione utilizzata dai ricercatori nella teoria scientifica e nella pratica sperimentale. È un tempo che gode delle proprietà di essere: oggettivo, esterno e indipendente dal soggetto umano; quantitativo, perché la scansione degli attimi (o di qualsivoglia unità di misura) che si succedono sempre con lo stesso ritmo non presenta differenze qualitative: ogni momento è sempre uguale a tutti gli altri; geometrico, cioè immaginabile come una sequenza infinita di stati uniformi; meccanico e spazializzato, ossia misurato tramite la dimensione spaziale, per esempio il quadrante dell’orologio su cui si muovono le lancette. Secondo Bergson si può paragonare questa concezione del tempo a una collana di perle, tutte uguali e distinte fra loro.

Il tempo della vita, quello vissuto dagli individui concreti, è essenzialmente qualitativo: quando si è annoiati certe ore sembrano non passare mai; altri istanti invece appaiono lunghi come un’eternità. Altri ancora danno senso all’intera esistenza segnandola in modo indelebile: l’attimo della nascita e quello della morte, per esempio. Il tempo vissuto è denso di significato, ha sempre un sapore particolare per il soggetto; non per nulla possediamo un termine specifico, noia, per designare quella sofferenza che nasce quando non si riesce a dare un senso al tempo. Nell’esperienza di vita questo tempo psicologico, una dimensione peculiare della spiritualità, è soggettivo e non separabile dalla memoria del passato e dall’anticipazione del futuro. Per il singolo individuo esso è sempre una durata: un intervallo temporale concreto e psicologicamente variabile, in cui si svolgono gli eventi della vita. Ponendosi su una linea di integrazione con la Fenomenologia e l’Esistenzialismo, la riflessione di Bergson ebbe un impatto notevole sulla cultura e sulle arti visive in particolare. È stato coniato il termine bergsonismo per designare l’irruzione della dimensione temporale nello spazio pittorico, un elemento di poetica che accomuna praticamente tutte le avanguardie di inizio secolo, Futurismo e Cubismo in particolare. La scienza, spazializzando il tempo, lo snatura; inaspettatamente però la pittura si rivela in grado di ribaltare questo rapporto: attraverso una deformazione delle immagini spaziali essa inventa l’effetto visivo di un tempo vivo.

La durata (vedi La durata reale ) è il concetto fondamentale della filosofia di Bergson. Il tempo misurabile dalla scienza è il tempo della meccanica, cioè un tempo spazializzato, come il tempo dell’orologio, che è un insieme di posizioni delle lancette sul quadrante; questo è un tempo reversibile, nel senso che in un fenomeno meccanico è possibile tornare indietro e ripartire da capo; nel tempo della meccanica ogni momento è esterno all’altro, è uguale all’altro: un istante segue l’altro e nessun istante è diverso dall’altro; nessun istante è diverso, più intenso o più importante dell’altro. Il tempo dell’esperienza concreta è cosa ben diversa dal tempo della meccanica. E ciò perché il tempo concreto è “una durata vissuta, irreversibile, nuova ad ogni istante […]” 1 .

La coscienza coglie immediatamente il tempo come durata. E durata vuol dire che l’io vive il presente con la memoria del passato e l’anticipazione del futuro. L’immagine adatta del tempo concreto della coscienza è quella di un gomitolo di filo che cresce conservando se stesso nella vita della coscienza; infatti “il nostro passato ci segue e s’ingrossa senza posa col presente che raccoglie lungo la strada”. E ciò mentre la concezione spazializzata del tempo trova un po’ un paragone nell’immagine di una collana di perle tutte uguali ed esterne le une alle altre. Con la sua opera Bergson contribuì, anche se non intenzionalmente, alla critica del concetto newtoniano di tempo.

  1. Mathieu, Bergson. Il profondo e la sua espressione , Napoli, Guida, 1971.

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