VARIAZIONI SUL TEMPO – Poemi Omerici
I poemi Omerici
Per indicare il tempo Omero usa un’estesa terminologia, ma nessuno dei termini omerici ha un esatto corrispondente nella lingua italiana; non c’è da stupirsene visto che neanche la parola italiana ‘tempo’ è un esatto sinonimo dell’inglese time o del tedesco zeit , le cose si complicano ulteriormente per le lingue non indoeuropee. Inoltre la terminologia greca si è considerevolmente modificata e trasformata proprio a partire da Omero. In principio sono presenti termini che indicano i principali periodi temporali: l’anno, le stagioni, il mese e il giorno. Fra le espressioni che indicano il passaggio degli anni ( etos , eniautos ) ce ne sono alcune in cui il verbo è preceduto dal prefisso perì: gli anni rivengono, altre in cui il verbo è preceduto dal prefisso epí: gli anni sopravvengono. L’anno è diviso in tre stagioni: la primavera l’estate e l’inverno. L’estate è theros ; la primavera si chiama ear ; la parola che indica l’inverno è cheimon e significa anche tempesta, mentre il termine opora nell’Odissea a volte viene usata per indicare l’autunno, col significato di maturazione dell’uva o dei frutti in generale. Ci sono anche riferimenti al levarsi e al tramontare delle stelle e delle costellazioni, in particolare di Sirio e di Orione, così come sono citate le migrazioni stagionali degli uccelli. Omero usa meis col significato di luna e di misura o appunto misura tramite la luna. In questa fase della cultura greca i mesi non hanno nomi, essi saranno adottati più tardi nelle poleis . Compare però già l’uso greco di fare iniziare il giorno dalla notte e non dal dì, come indicano i versi ricorrenti ‘le notti e i giorni’. Nel periodo notte-giorno il passaggio del tempo è marcato dall’aurora, dall’alba, dal mezzogiorno, dal tramonto e dal crepuscolo, questi momenti-accadimenti sono spesso deificati, come Eos nel caso dell’aurora.
In Omero non c’è ancora una concezione astratta del tempo né un metodo per misurarlo; egli piuttosto parla della divinità “che conosce il presente, il passato e il futuro” (Iliade I, v. 70). Mentre il vecchio eroe, il cui prototipo è Nestore, medita sulle azioni passate, i miti descrivono azioni che appartengono a un passato indeterminato. Malgrado Platone e poi Aristotele abbiano attribuito a Omero una sorta di cosmogonia marina attorno ad Oceano padre degli dei e di tutte le cose, non esiste nei canti omerici nessuna teoria sull’origine del mondo e dell’uomo. Solo nel verso 201 del XIV libro dell’ Iliade si dice:
l’Oceano, principio dei numi
La radice del vocabolo Okeanon non è greca, anche se alcune varianti secondarie del nome Oghenos in Ferecide di Siro, fr. B 2, e Oghen (nel lessico di Esichio) rimandano all’aggettivo é oghiughios, ‘antico’, che si trova impiegato da Esiodo stesso al v. 806 della Teogonia. Stefano di Bisanzio, inoltre, lo definisce divinità antichissima (Oghenos archaios theon), dalla quale sarebbero nati gli dei e le dee più antichi (oghenidai kai oghenioi), nonché le acque dello Stige. Tuttavia la radice parrebbe altresì collegabile al termine accadico uginna, “anello”, e richiamare così la funzione di Oceano di circondare la terra. L’ultima ipotesi gli attribuisce un’origine minoica: un fiume Okeanos è registrato, sempre nel lessico di Esichio, come corso d’acqua cretese 1 .
Non c’è in Omero il sentimento del tempo come un flusso continuo astratto, il tempo piuttosto è un’esperienza carica di affettività. Per ogni uomo il giorno possiede la qualità degli avvenimenti che vi si iscrivono e realizzano. Quando nell’Odissea e ancor più di frequente nella poesia lirica i moti effemeridi, ephémerios o ephémero , si applicano all’uomo e ai suoi pensieri, l’idea dominante, come ha mostrato H. Fränkel 2 è quella di una dipendenza dell’uomo dai giorni, dunque non quella di ‘natura effimera’ nella concezione odierna di fenomeno fatuo.
Se la nozione astratta di tempo resta in Omero rudimentale, la natura transitoria della vita umana occupa un ruolo centrale; è significativa la metafora delle foglie, la cui crescita e caduta rimanda al destino dell’umanità (Iliade , IV, v.146).
Altro tema importante è l’opposizione tra gli uomini e gli dei, tra il mortale e l’immortale. È una descrizione per noi ambigua poiché gli dei nascono realmente e partecipano di esperienze anche dolorose o negative. L’immortalità non è ancora eternità. Anche gli uomini vivono dopo la morte poiché le loro anime, psychai , scendono nell’Ade, ma è un’esistenza di ordine inferiore. La concezione omerica dell’aldilà è negativa, è un luogo buio e tenebroso, simile a quello che sarà l’inferno dei cristiani e dei musulmani. Le case sono squallide e tremende, vi si aggirano anime o spettri e non vi sono sentimenti.
Visitando l’Ade Ulisse incontra anche Achille:
«Non lodarmi la morte, splendido Odisseo.
Vorrei esser bifolco, servire un padrone,
un diseredato, che non avesse ricchezza,
piuttosto che dominare su tutte l’ombre consunte.»
Omero, Iliade , XI (488 – 491)
Note
- Vasta Eleonora, note alla Teogonia di Esiodo, Milano, Mondatori, 2004.
- “Trans. of the American Philological Association”, n. 77, 1946, pp. 131-145.
da Variazioni sul Tempo (Università della Calabria)